E' un giorno qualunque, e nella giungla c'è un domatore di tigri. Come tutti i giorni della sua vita, sta cercando una tigre. Una qualunque, non importa: è il suo lavoro. E come tutti i giorni, anche oggi vede una tigre.
Il fatto è che, oggi, la tigre che vede è diversa – non sa perché, ma non c'è nessun dubbio. Saranno gli occhi, forse. Da quegli occhi si capiscono due cose: la prima è che anche lei ha visto il domatore. E già questo può essere un problema. La seconda è che, per qualche motivo, la tigre sa di essere diversa. E anche questo è decisamente un problema.
Diciamo subito che il domatore non è uno stupido, e fa la sola cosa sensata che ci si aspetterebbe da lui: scappa. Perché una tigre è sempre una tigre, e lui ha già abbastanza cicatrici.
Il giorno dopo è sempre un giorno qualunque, e nella giungla c'è lo stesso domatore di tigri. Solo che oggi non sta cercando una tigre qualunque. Forse è un problema di tutti gli esseri umani, forse è un domatore un po' diverso dagli altri; non lo so, sinceramente. Ma quello sguardo lo tormenta. Quello sguardo vale un rischio un po' più grande, anche solo per curiosità morbosa. Per questo, da oggi, il domatore è una specie di capitano Ahab: le tigri per lui non esistono più. Le tigri sono una sola tigre.
Quasi tutto nella vita succede per caso. Questo è un fatto. La cosa strana è che, di tutto quello che può succedere per caso, qualche volta la scelta cade sugli eventi più pericolosi – e con questo voglio dire: gli eventi che possono cambiare tutto. Di solito le persone se ne ricordano. Altre volte, invece, non c'è nessuna scelta. E' come vedere acqua che scorre: basta guardare la terra per capire dove andrà a finire. Magari prenderà strade contorte, ma la destinazione è certa. Va sempre verso il basso.
In questa storia i fatti sono acqua. Il tempo passa, ma il domatore – una parte di lui, almeno – sa che prima o poi vedrà di nuovo la sua tigre. E infatti, succede.
Il problema ora è che fare. Perché la tigre, che sa di essere diversa, e che anche questa volta vede il domatore, non è aggressiva come sembra. Lo studia. Lo guarda da lontano. Si avvicina, lentamente. E non smette mai di guardare.
Ogni giorno si vedono, per qualche tempo. Il domatore sa di volere quella tigre; la tigre, invece, non sa nemmeno cos'è un domatore. Per cui se ne sta lì vicino, e lo guarda. Non troppo vicino: l'unica cosa che la tigre sa è di essere una tigre.
Il domatore decide, a questo punto, di iniziare a fare il suo lavoro. Prende la bistecca migliore che ha, e la offre alla tigre. Senza fretta. La tigre, con cautela, la mangia, e capisce immediatamente che non ha mai neanche immaginato che esistesse qualcosa del genere. Non solo: sa anche che non ne troverà mai da nessun'altra parte. Per cui torna il giorno dopo. E il giorno dopo ancora.
Finché non arriva il momento: bisogna domare la tigre. E' questo che fanno i domatori. A questo punto, però, non tutto va come dovrebbe. La tigre sarà anche curiosa, sarà anche una tigre diversa, ma ha un istinto e non può scegliere di ignorarlo. Nella sua mente primitiva ora il domatore è un amico e una minaccia allo stesso tempo. Questo crea molta confusione. E una tigre, che è un predatore e non spicca troppo per intelligenza, ha un solo modo per eliminare questa confusione: dividere il mondo in due categorie – commestibile e non commestibile. Non ci vuole molto a posizionare una strana scimmia in questo ordine cosmico.
Brutto giorno per il domatore: oggi torna a casa senza una tigre e senza un braccio. Staccato di netto. Sopravviverà per miracolo (forse). Ma qualcosa, dentro di lui, continua a cercare. Qualcosa di più forte dell'istinto. Più forte di tutto. Per cui si ricomincia da capo.
La tigre, stavolta, è più cauta nel mangiare. Ma lo fa lo stesso: quelle bistecche sono così perfette che è impossibile farne a meno. Sono diverse. E nonostante tutto, inizia a pensare che forse c'è un modo di convivere con l'uomo senza doverlo uccidere, o essere uccisa. Deve esserci per forza. Ma ha ancora paura. Gli esseri umani sono intelligenti; gli esseri umani mentono.
Il domatore, dall'altra parte, sa di poter aspettare. Ha pagato già troppo per quella tigre; non è più il suo lavoro. Nell'essere mangiati – per quanto la cosa possa risultare seccante – si stabilisce un legame di sangue. Predatore e preda sono fusi; ballano insieme. E' una cosa che succede da sempre, niente di strano.
Certo, ha qualche dubbio. Ha senso andare avanti? La seconda volta potrebbe andare ancora peggio – dopotutto quella è una tigre, e ha mangiato il suo braccio. L'ha vista, mentre mangiava. E' un mostro. La tigre è il male. Forse la ucciderà. Forse si farà uccidere, invece. Forse è più confuso della tigre.
Per un motivo o per l'altro, comunque, ci riprova. E va molto, molto male.
Lo ritrovano dopo un po', in una pozza di sangue. Ma non è morto: un po' mangiucchiato qua e là, ma ancora vivo per miracolo. Qualcuno pensa, dopo averlo visto: è un avvertimento. Una specie di seconda opportunità. E' Dio che ti guarda in faccia e ti dice figliolo, io ti ho avvisato; ora però te la sbrighi da solo.
Passa un po' di tempo. I suoi colleghi domatori lo tengono d'occhio e gli danno pacche sulle spalle. Intanto pensano: è bruciato. Nel senso che è finito, per quel mestiere. Qualcuno glielo dice – prenditi un gatto e trovati un altro lavoro. Magari in ufficio. Rilassati. Almeno per un po'.
Fino a quando, una notte, la tigre va da lui. Non se ne accorge nessuno. Si avvicina al loro circo, entra nella sua tenda, e resta lì. Più tranquilla di un gatto. Il domatore è terrorizzato. Non si scherza dopo aver visto la morte in faccia. Ora ha solo paura. Ma per qualche strano motivo non riesce a sparare alla tigre. E' lì, ai piedi del suo letto, inerme. Lo guarda ogni tanto come se niente fosse.
Dal giorno dopo la tigre è nella sua gabbia. E' la migliore del circo, più grande anche della tenda del domatore. Ogni giorno ha il cibo migliore, e in cambio fa i suoi esercizi. Docile. Si prepara allo spettacolo. Tutti li guardano con sospetto: un mostro feroce che ora è un agnello, e il suo domatore senza un braccio. Non si era mai visto niente del genere. Fa paura come il buio. E non serve dire al domatore che è un pazzo, e che l'unico posto per quella tigre è la giungla o una fossa; è come se non esistessero più separatamente. Il domatore è la tigre, e viceversa.
Lo spettacolo è magnifico. Centinaia di persone, nel circo più famoso del mondo, a vedere due parti di uno stesso corpo, la chimera uomo-tigre, che ballano insieme nel cerchio di fuoco. Tutti, nessuno escluso, tornano a casa con qualcosa dentro. Qualcosa in più, o qualcosa in meno. Cambiati, comunque.
Poi, come sempre, il tempo passa, e anche gli spettacoli. A quello strano miracolo, lentamente, gli altri nel circo si abituano bene, e girano il mondo tutti insieme per anni. Di sera, ogni tanto, il domatore si avvicina alla gabbia, e guarda la sua tigre. Certe volte in quegli occhi vede l'ombra del predatore incontrato nella giungla; sono come li ha visti la prima volta, ma sono anche diversi in un modo che non riesce a capire. Altre volte li osserva con odio, e pensa al suo braccio, e a tutto quello che nella vita non ha potuto fare a causa di quel maledetto animale. Altre volte ancora ha paura, perché gli sembra di vedere, di sfuggita, una strana luce omicida. Nascosta. In attesa.
Poi va a dormire. Sogna spesso di quando tutto era ancora possibile; o di una tigre che lo divora nel sonno. Nello stesso momento, poco lontano, la tigre si addormenta tranquilla, perché vedrà al suo risveglio – anche in una città diversa, anche in un mondo diverso – il domatore tornare dalla sua tenda. Sa che è lì per occuparsi di lei. Di notte sognerà la giungla.
Il fatto è che, oggi, la tigre che vede è diversa – non sa perché, ma non c'è nessun dubbio. Saranno gli occhi, forse. Da quegli occhi si capiscono due cose: la prima è che anche lei ha visto il domatore. E già questo può essere un problema. La seconda è che, per qualche motivo, la tigre sa di essere diversa. E anche questo è decisamente un problema.
Diciamo subito che il domatore non è uno stupido, e fa la sola cosa sensata che ci si aspetterebbe da lui: scappa. Perché una tigre è sempre una tigre, e lui ha già abbastanza cicatrici.
Il giorno dopo è sempre un giorno qualunque, e nella giungla c'è lo stesso domatore di tigri. Solo che oggi non sta cercando una tigre qualunque. Forse è un problema di tutti gli esseri umani, forse è un domatore un po' diverso dagli altri; non lo so, sinceramente. Ma quello sguardo lo tormenta. Quello sguardo vale un rischio un po' più grande, anche solo per curiosità morbosa. Per questo, da oggi, il domatore è una specie di capitano Ahab: le tigri per lui non esistono più. Le tigri sono una sola tigre.
Quasi tutto nella vita succede per caso. Questo è un fatto. La cosa strana è che, di tutto quello che può succedere per caso, qualche volta la scelta cade sugli eventi più pericolosi – e con questo voglio dire: gli eventi che possono cambiare tutto. Di solito le persone se ne ricordano. Altre volte, invece, non c'è nessuna scelta. E' come vedere acqua che scorre: basta guardare la terra per capire dove andrà a finire. Magari prenderà strade contorte, ma la destinazione è certa. Va sempre verso il basso.
In questa storia i fatti sono acqua. Il tempo passa, ma il domatore – una parte di lui, almeno – sa che prima o poi vedrà di nuovo la sua tigre. E infatti, succede.
Il problema ora è che fare. Perché la tigre, che sa di essere diversa, e che anche questa volta vede il domatore, non è aggressiva come sembra. Lo studia. Lo guarda da lontano. Si avvicina, lentamente. E non smette mai di guardare.
Ogni giorno si vedono, per qualche tempo. Il domatore sa di volere quella tigre; la tigre, invece, non sa nemmeno cos'è un domatore. Per cui se ne sta lì vicino, e lo guarda. Non troppo vicino: l'unica cosa che la tigre sa è di essere una tigre.
Il domatore decide, a questo punto, di iniziare a fare il suo lavoro. Prende la bistecca migliore che ha, e la offre alla tigre. Senza fretta. La tigre, con cautela, la mangia, e capisce immediatamente che non ha mai neanche immaginato che esistesse qualcosa del genere. Non solo: sa anche che non ne troverà mai da nessun'altra parte. Per cui torna il giorno dopo. E il giorno dopo ancora.
Finché non arriva il momento: bisogna domare la tigre. E' questo che fanno i domatori. A questo punto, però, non tutto va come dovrebbe. La tigre sarà anche curiosa, sarà anche una tigre diversa, ma ha un istinto e non può scegliere di ignorarlo. Nella sua mente primitiva ora il domatore è un amico e una minaccia allo stesso tempo. Questo crea molta confusione. E una tigre, che è un predatore e non spicca troppo per intelligenza, ha un solo modo per eliminare questa confusione: dividere il mondo in due categorie – commestibile e non commestibile. Non ci vuole molto a posizionare una strana scimmia in questo ordine cosmico.
Brutto giorno per il domatore: oggi torna a casa senza una tigre e senza un braccio. Staccato di netto. Sopravviverà per miracolo (forse). Ma qualcosa, dentro di lui, continua a cercare. Qualcosa di più forte dell'istinto. Più forte di tutto. Per cui si ricomincia da capo.
La tigre, stavolta, è più cauta nel mangiare. Ma lo fa lo stesso: quelle bistecche sono così perfette che è impossibile farne a meno. Sono diverse. E nonostante tutto, inizia a pensare che forse c'è un modo di convivere con l'uomo senza doverlo uccidere, o essere uccisa. Deve esserci per forza. Ma ha ancora paura. Gli esseri umani sono intelligenti; gli esseri umani mentono.
Il domatore, dall'altra parte, sa di poter aspettare. Ha pagato già troppo per quella tigre; non è più il suo lavoro. Nell'essere mangiati – per quanto la cosa possa risultare seccante – si stabilisce un legame di sangue. Predatore e preda sono fusi; ballano insieme. E' una cosa che succede da sempre, niente di strano.
Certo, ha qualche dubbio. Ha senso andare avanti? La seconda volta potrebbe andare ancora peggio – dopotutto quella è una tigre, e ha mangiato il suo braccio. L'ha vista, mentre mangiava. E' un mostro. La tigre è il male. Forse la ucciderà. Forse si farà uccidere, invece. Forse è più confuso della tigre.
Per un motivo o per l'altro, comunque, ci riprova. E va molto, molto male.
Lo ritrovano dopo un po', in una pozza di sangue. Ma non è morto: un po' mangiucchiato qua e là, ma ancora vivo per miracolo. Qualcuno pensa, dopo averlo visto: è un avvertimento. Una specie di seconda opportunità. E' Dio che ti guarda in faccia e ti dice figliolo, io ti ho avvisato; ora però te la sbrighi da solo.
Passa un po' di tempo. I suoi colleghi domatori lo tengono d'occhio e gli danno pacche sulle spalle. Intanto pensano: è bruciato. Nel senso che è finito, per quel mestiere. Qualcuno glielo dice – prenditi un gatto e trovati un altro lavoro. Magari in ufficio. Rilassati. Almeno per un po'.
Fino a quando, una notte, la tigre va da lui. Non se ne accorge nessuno. Si avvicina al loro circo, entra nella sua tenda, e resta lì. Più tranquilla di un gatto. Il domatore è terrorizzato. Non si scherza dopo aver visto la morte in faccia. Ora ha solo paura. Ma per qualche strano motivo non riesce a sparare alla tigre. E' lì, ai piedi del suo letto, inerme. Lo guarda ogni tanto come se niente fosse.
Dal giorno dopo la tigre è nella sua gabbia. E' la migliore del circo, più grande anche della tenda del domatore. Ogni giorno ha il cibo migliore, e in cambio fa i suoi esercizi. Docile. Si prepara allo spettacolo. Tutti li guardano con sospetto: un mostro feroce che ora è un agnello, e il suo domatore senza un braccio. Non si era mai visto niente del genere. Fa paura come il buio. E non serve dire al domatore che è un pazzo, e che l'unico posto per quella tigre è la giungla o una fossa; è come se non esistessero più separatamente. Il domatore è la tigre, e viceversa.
Lo spettacolo è magnifico. Centinaia di persone, nel circo più famoso del mondo, a vedere due parti di uno stesso corpo, la chimera uomo-tigre, che ballano insieme nel cerchio di fuoco. Tutti, nessuno escluso, tornano a casa con qualcosa dentro. Qualcosa in più, o qualcosa in meno. Cambiati, comunque.
Poi, come sempre, il tempo passa, e anche gli spettacoli. A quello strano miracolo, lentamente, gli altri nel circo si abituano bene, e girano il mondo tutti insieme per anni. Di sera, ogni tanto, il domatore si avvicina alla gabbia, e guarda la sua tigre. Certe volte in quegli occhi vede l'ombra del predatore incontrato nella giungla; sono come li ha visti la prima volta, ma sono anche diversi in un modo che non riesce a capire. Altre volte li osserva con odio, e pensa al suo braccio, e a tutto quello che nella vita non ha potuto fare a causa di quel maledetto animale. Altre volte ancora ha paura, perché gli sembra di vedere, di sfuggita, una strana luce omicida. Nascosta. In attesa.
Poi va a dormire. Sogna spesso di quando tutto era ancora possibile; o di una tigre che lo divora nel sonno. Nello stesso momento, poco lontano, la tigre si addormenta tranquilla, perché vedrà al suo risveglio – anche in una città diversa, anche in un mondo diverso – il domatore tornare dalla sua tenda. Sa che è lì per occuparsi di lei. Di notte sognerà la giungla.