30.6.07

Infinito

La parola alef ha diversi significati. Innanzitutto è il nome della prima lettera dell'alfabeto ebraico; el alef è anche il titolo di un famoso racconto di Borges, ed è il nome che Georg Cantor usò per indicare la cardinalità degli insiemi infiniti.

Nessuno di questi significati, per il momento, ha qualcosa a che vedere con la storia che segue. Per quanto ci riguarda, "alef!" è quello che Rebecca Alvarez-Downing, di madre certamente argentina e padre presumibilmente americano, esclamò in un internet point di Buenos Aires alle ore 11.30 del 23 gennaio 2017, davanti alla pagina dei risultati di Google Images.

I modi e le vicende per cui Rebecca arrivò proprio in quell'internet point, per esclamare, proprio a quell'ora, la parola "alef", sono assolutamente irrilevanti. Il fatto rilevante, invece, è che a tutti gli effetti con la sua scoperta - e relativa esclamazione - l'esistenza di Rebecca Alvarez-Downing e di tutto l'universo conosciuto cambiò radicalmente.

Circa quindici minuti dopo, vale a dire intorno alle 11.45, Rebecca uscì dall'internet point rileggendo in continuazione un biglietto di carta spessa, dall'aspetto grezzo, che diceva soltanto:

"Mezzogiorno, aula 12. Se vorrà, potrà sapere tutto."

La parola "tutto" era sottolineata. Dall'altro lato si vedeva un simbolo disegnato a mano, in fretta, che era proprio quello che Rebecca aveva appena trovato: l'alef.

Bisogna precisare, a questo punto, che Rebecca aveva certamente intravisto, una o più volte, quel simbolo durante le lezioni di logica matematica; e che soprattutto aveva praticamente la certezza che l'aula 12 fosse l'aula 12 del dipartimento di Fisica, dove trascorreva da qualche mese tutte le sue giornate.

Alle 12.04 esatte – almeno, secondo il suo orologio da polso – Rebecca entrò nell'aula 12. Che era, come sempre, polverosa, piena di quel meraviglioso odore di legno vecchio, e deserta. Si sentì un po' stupida.

– E' in ritardo – la contraddisse qualcuno.

Voltandosi, poté vedere che quel qualcuno stava scendendo lentamente le scalinate dell'aula, che scricchiolavano. Non l'aveva mai visto prima.

– Mi scusi – rispose, dopo un attimo. – Chi è lei?

Si sentiva nuovamente stupida.

– Vedo che ha ricevuto il mio biglietto.

– Già. Ma non ho capito a cosa si riferisce.

– Con la parola "tutto"?

– Sì.

– Immaginavo.

Lo sconosciuto, che ora era molto vicino, fece una pausa. La ragazza stava per chiedergli qualcosa, ma l'uomo la fissò con aria infastidita. Chiuse la bocca.

– So che lei, Rebecca, sta facendo delle ricerche.

– Sì. Mi occupo di gravità quantistica.

– Universi paralleli – commentò lo sconosciuto, come se stesse pensando ad alta voce.

– No, per niente. La teoria non ha niente a che vedere con...

– No, no, certamente. Non ancora. E' troppo presto.

Rebecca, a quel punto, sorrise; è matto, pensò.

– No.

– "No" a cosa?

– Non sono matto. Lei ha appena pensato: "è matto". Si sbaglia.

Mi si leggeva in faccia, no? Continuò a pensare Rebecca. L'uomo sorrise.

– Sono costretto a dirle, mia cara, che fra alcuni anni (sei, per la precisione) farà una notevole scoperta, che cambierà completamente il vostro modo di pensare. Sono anche costretto a dirle che, se vuole, potrà conoscere in anticipo il contenuto di questa sua scoperta. Subito, diciamo.

– E lei come...

– Un momento. Non mi interrompa, la prego. Devo anche dirle che, oltre al contenuto specifico della scoperta, verrà a conoscenza di molte altre cose. Per la maggior parte spiacevoli, purtroppo. E, come ultima clausola, devo aggiungere che non potremo avere altre conversazioni.

– Non ho ancora capito cosa vuole da me.

– Una risposta. Rebecca, vuole sapere tutto?

– Il tono faustiano di questa conversazione la rende un po' ridicola, non crede?

– Avrà modo di sapere che quasi tutto è ridicolo, Rebecca. Allora, qual è la sua risposta?

– Va bene. Credo che lei sia matto, ma sarà divertente. Suppongo.

Lo sconosciuto la fissò per un attimo, poi si sedette.

– Prima di tutto, le chiedo scusa. Le ho mentito, almeno in parte.

– Cioè?

– Non farà nessuna scoperta. Non farà praticamente più nulla, diciamo. Non dopo che avremo parlato.

– Lei è decisamente matto.

– Le chiedo un piccolo sforzo. Immagini, per un momento, una storia. Pensi ad un libro, un racconto, qualsiasi cosa.

– Ok, ci sono. – Rebecca stava sorridendo.

– Ora immagini che uno dei personaggi del racconto, per volontà dello scrittore, sia onnisciente. Che sia a conoscenza di qualunque cosa.

– Bene. Ho il mio personaggio onnisciente.

– Immagini anche che questo nostro personaggio, a causa della sua condizione, sia disperato. Vive sapendo tutto ciò che dirà, penserà, deciderà, non potendo cambiare nulla.

– Una bella sfortuna.

– Sì, in effetti. Ma c'è dell'altro. Sapendo qualunque cosa, saprebbe anche dell'esistenza dello scrittore, del libro, e del fatto che egli stesso è soltanto un personaggio.

– So dove vuole arrivare. Ma...

– Rebecca, lei mi deve ascoltare. Il mio nome è Alef, e sono un matematico. Inoltre, cosa ancora più importante, sono il personaggio onnisciente di un racconto. Rebecca, noi due, con tutto l'universo che ci circonda, non esistiamo: questa realtà, come infinite altre, è solo finzione. Solo un gioco.

Alef fece una lunga pausa. Poi, riflettendo, aggiunse:

– Esistono molti altri mondi, oltre a questo.

L'occhio

21 . 4 . 19
Sono arrivato ieri. Sabato. Devo fare quelle foto oggi. Prendi nota: Tokyo mi fa schifo. Fa proprio schifo.

23 . 4 . 19
Mi è successa una cosa strana oggi. Una bambina per strada mi ha regalato una cosa. E' solo un sasso, niente di che – niente soldi, non ha voluto. Lo sto guardando da molto. Saranno due ore adesso. Basta, ho fame. Devo mangiare qualcosa.

24 . 4 . 19
Giallo. E' quasi certamente ambra. Lo sto fotografando da punti diversi. La profondità di colore è fuori del comune. Le venature sembrano infinite. Quelle molto piccole. Giallo scuro. Sembra quasi
un occhio. No, è proprio un occhio. Finisco di scaricare le foto.
Questo è proprio un buco di merda. Il wireless è lento. E' troppo lento, riesco a mandarne su solo un paio.

25 . 4 . 19
Ci sono insetti sulle pareti. Stanno camminando sul soffitto. Ne avrò ammazzati una trentina da ieri. Bastardi, sono dappertutto. Esco

26 . 4 . 19
Di nuovo in stazione. Da qui almeno riesco a mandare le altre in ufficio. Mi guardo un po' intorno. Qui siamo ancora nel '17, non si è mosso niente. E' tutto terzo mondo ormai. Dove saranno finiti i primi due?
Voglio tornare dal vecchio in albergo e farmi portare da qualcuno – devono dirmi che cosa è questa. Lo pago. Ne ho ancora abbastanza anche per gli hobby. Mi devo divertire un po'.
Sera. Di nuovo nel buco. Dai miei amici (ora ci parlo). Schifosi pezzetti di vita. Nascono dai rifiuti. Vengono fuori dai rifiuti e ci vogliono punire per averli messi al mondo. Bravi. Vi capisco. Devo pregare ora

27 . 4 . 19
Sono appena tornato – finalmente ho scoperto che cos'è. Solo un portafortuna. Dicono che la bambina l'ha rubato e me l'ha dato per non farsi beccare e ammazzare; dicono questo. Mi piace come lo chiamano – il sasso, dico – lo chiamano la tigre. Dicono che per loro è la stessa cosa; il sasso e la tigre sono uguali. Quanti anni saranno che è morta l'ultima? Sei o sette. Brutta storia.

28 . 4 . 19
Mi è successa un'altra cosa strana. Ho le mani più chiare. Mi tremano anche un po'. Forse è quella cosa, perché l'ho toccata. La dovrei buttare, ma non mi va. La metto in un panno. Magari mi passa.

Sto vomitando da due ore
Dormo

30 . 4 . 19
Basta sogni. Terza amfetamina. Sogno cose molto strane
E' come se mi stesse guardando – è un occhio, no? Mi guarda. Ecco che fa. Mi guarda tutto il tempo
Ora la vado a cercare. Mi deve dire dove l'ha presa. Le dico che l'ammazzo. Anzi, l'ammazzo sul serio se non me lo dice. Non mi reggo in piedi. Ho sete adesso

1 . 5 . 19
L'ho fatto?

2 . 5 . 19
Devo pensare. Razionalmente. Io devo pensare. Avevo le mani sporche e le ho lavate. Mi ricordo di questo. Avevo le mani sporche, le ho lavate e ho pulito tutto quanto. CHE COSA HO PULITO?
Ho dormito un po'. Ora va meglio. Probabilmente avevo la febbre. Il sasso è dentro il panno, e il vecchio non mi ha mai visto uscire da qui. Neanche una volta, mi ha detto. Ma non parla bene, sembra quasi inglese. Magari è proprio un mezzo inglese. Comunque non sono uscito. Non mi sono nemmeno mai lavato le mani, le avevo sporche stamattina.

C'è qualcosa qui
O cazzo
Forse la devo scrivere per bene. Mi giro, non guardo dentro il muro. Ho il muro alle mie spalle
C'è uno strano rumore qui dietro. E mi sembrano piccoli occhi dentro quella crepa nel muro in alto a destra - piccoli occhi che luccicano.
Ma non è niente. Non è niente, magari topi o chissà che cazzo di animale che va in giro da queste parti. Lo odio questo posto. E' che ho sentito quel rumore e mi sono avvicinato. E da dentro una cosa mi stava guardando

3 . 5 . 19
Non sono più uscito da qui dentro. Ho fame ora, ma non voglio uscire. Ho preso di nuovo l'occhio, lo guardo da un po'. Mi fa stare meglio. Sto molto, molto meglio se lo guardo. Non sento più i rumori se lo guardo bene.
Mi devo avvicinare al muro con l'occhio. Devo guardarci dentro, come ho fatto a non pensarci prima

– maggio 19
sono molto debole. ma devo esserci quasi.
è come passare la mano su uno specchio e guardare la mano che scorre dall'altra parte. si toccano – sono la stessa cosa in fondo. è una sola mano. ma cosa c'è dall'altra parte?
mi sta parlando. ha una voce sottile. la cosa dentro il muro
parla piano. in qualche modo non erano occhi – lo erano per me, che non riesco a vedere oltre il muro. ma sento cosa dice ora.
ci sono altri dove
molti altri dove. per un attimo posso vederli. non riesco più a muovermi. ma io non sono qui
quello che vedo non è fatto per noi che viviamo in basso
tu non sai cosa si prova

vedendo